I Quattro Mori
Situata in piazza Micheli, dove sorgeva una volta la Porta Colonnella, affacciata sulla Vecchia Darsena, oltre la quale si estende il Porto Mediceo, la statua dei Quattro Mori o più correttamente il “monumento a Ferdinando I”, insieme alle Fortezze Medicee, al quartiere della Venezia e alla Terrazza Mascagni, è uno dei simboli della città di Livorno. La sua storia racconta infatti uno dei momenti più importanti dello sviluppo architettonico e culturale cittadino ad opera della famiglia de’ Medici.
Quando, nel 1587, Ferdinando I de’ Medici succedette sul trono del Granducato di Toscana al fratello Francesco I, impresse un forte impulso al progetto della fortificazione di Livorno affidato all’architetto Bernardo Buontalenti. Contemporaneamente il nuovo Granduca si attivò per contrastare le scorribande dei corsari barbareschi lungo le coste toscane riportando, grazie alla flotta dei Cavalieri dell’Ordine di Santo Stefano, alcune risolutive vittorie tanto che alla fine del regno di Ferdinando (1587-1609), a Livorno gli schiavi musulmani erano circa 6.000, un numero incredibile se si considera che gli abitanti della città erano in tutto circa 10.000.
Per celebrare queste imprese Ferdinando volle erigere un monumento in suo onore affidandone la realizzazione allo scultore Giovanni Bandini. L’opera, relizzata a Carrara in marmo bianco a partire dal 1595, venne trasportata per mare a Livorno nel 1601 ma rimase ai margini della darsena per quasi 16 anni, fino a quando, nel 1617, venne ufficialmente inaugurata alla presenza di Cosimo II de’ Medici, succeduto al padre Ferdinando nel 1609. L’opera del Bandini ritraeva tuttavia solo il Granduca con l’uniforme di Gran Maestro dei Cavalieri di Santo Stefano, mentre i mori alla base del piedistallo, che raffigurano quattro pirati in catene, furono aggiunti solo dopo il 1621 quando Pietro Tacca, allievo del Giambologna presso la Corte Medicea, venne incaricato di completare il monumento. Fusi a Firenze in un’officina di Borgo Pinti, i mori vennero trasportati a Livorno lungo il fiume Arno e collocati intorno al basamento tra il 1623 e il 1626.
Oltre ai mori il Tacca progettò per il monumento un gruppo di trofei barbareschi in bronzo consistenti in un turbante, un arco, un turcasso e una scimitarra che, fusi nel 1622 dal suo allievo Taddeo di Michele, furono installati intorno al basamento della statua di Ferdinando, anch’esso realizzato da Taddeo di Michele.
Il monumento avrebbe dovuto comprendere anche due bellissime fontane con mostri marini, realizzate sempre dal Tacca intorno al 1630, che tuttavia non giunsero mai a Livorno ma furono invece collocate a Firenze in piazza della Santissima Annunziata. Due copie di tali fontane sono comunque visibili a Livorno nell’adiacente piazza Colonnella.
Dapprima il Tacca propose senza successo di realizzare una nuova statua ispirata all’opera religiosa di Santo Stefano ma alla fine si dovette accontentare di completare l’opera del Bandini. Le cronache affermano che il Granduca avesse concesso allo scultore di recarsi di persona presso il “Bagno dei forzati”, la vasta prigione posta a breve distanza dalla Fortezza Vecchia, per effettuare gli studi anatomici a lui necessari e trovare i modelli umani più adatti alle sue esigenze scultoree.
La naturalezza realistica delle forme, la plasticità, la tormentata torsione dei corpi, la perfezione anatomica, le espressioni sofferenti e vinte dei Quattro Mori sono il frutto di questi studi e del talento dello scultore che ha saputo trasmettere con grande abilità il peso della prigionia e la rassegnazione dei prigionieri.
Ma chi furono i modelli prescelti dal Taccca? Il biografo Filippo Baldinucci racconta che, nel Bagno, il Tacca “ebbe facoltà di valersi di quanti schiavi vi avesse riconosciuti dè muscoli più leggiadri, e più accomodati all’imitazione, per formarne un perfettissimo corpo. Uno di costoro fu uno schiavo moro turco, che chiamavasi per soprannome Morgiano (un soprannome che deriva da un tipo di uva particolarmente nera)”. Dalla cronaca livornese settecentesca di Mariano Santelli apprendiamo invece che il secondo modello di Tacca era “un robusto vecchio, detto Alì”.
Lo storico dell’arte americano Steven Ostrow ha recentemente rinvenuto la prova documentale di queste cronache in terribile inventario degli schiavi del “Bagno dei forzati” databile tra il 1608 e il 1624, tra i quali figurano “Margiano di Macamutto, di Tangiur, di anni 25, da vendersi”: un nero tangerino che probabilmente era stato già fatto schiavo dagli ottomani a cui era stato sottratto dalla flotta toscana e, tra gli schiavi classificati come “vecchi”, ben quattro Alì, tutti turchi, uno dei quali dev’essere stato il secondo modello di Tacca. Così, due mori su quattro hanno senza dubbio un nome: il nero africano è Morgiano, il turco è Alì.
E gli altri due mori in catene chi erano? È molto probabile che il Tacca abbia usato solo Morgiano e Alì, sebbene le quattro figure rappresentino le quattro età della vita dell’uomo, lo scultore potrebbe infatti avere semplicemente “invecchiato” e leggermente modificato le fattezze dei suoi due modelli.
Un’antica leggenda livornese narra addirittura che, dopo la realizzazione del monumento, i due prigionieri vennero liberati e che il giovane Morgiano, dopo essersi sposato a Livorno, portasse la famiglia a vedere il “suo” monumento.
Leggende a parte, il tema dei “captivi”, ovvero la raffigurazione dei prigionieri sottomessi alla forza militare del vincitore, non è certo nuovo: lo si trova nell’arte romana con i Prigionieri Daci del Foro di Traiano, nel Rinascimento con i celebri Prigioni di Michelangelo per il monumento al papa guerriero Giulio II, nel monumento equestre dello stesso Tacca, rappresentante il re Enrico IV di Francia, eretto sul ponte nuovo a Parigi (1614) e abbattuto con la Rivoluzione francese nel 1792, nell’analoga statua eretta in memoria del re di Francia Luigi XIV nel 1684 sulla Place des Vosges ed abbattuta anch’essa nel 1792, nel bozzetto per un monumento equestre dedicato al principe elettore Massimiliano Emanuele Wittelsbach, dove, sul lato anteriore, sono posti in angolo due statue bronzee di mori.
Tuttavia, rispetto alle opere sopracitate, la particolarità dei Quattro Mori” è rappresentata dal fatto che si tratta del primo ritratto scultoreo della storia occidentale a ritrarre almeno due schiavi sicuramente identificati. Infatti in quel gruppo di cinque figure non c’è soltanto Ferdinando dè Medici ad avere un nome e una storia, ci sono anche Morgiano e Alì.
Un particolare non da poco se si considera che l’arte e la bellezza del corpo umano, tornata ad essere nel Rinascimento fiorentino la misura di ogni altra bellezza, hanno espresso prima e più della politica o della religione, che gli schiavi neri e musulmani non erano meno uomini meno del Granduca di Toscana, anzi, Morgiano e Alì, con il loro passato da pirati, con la loro potente e armoniosa sofferenza, sono decisamente più belli. Tanto più belli che, agli occhi del popolo, degli amanti dell’arte e dei viaggiatori, sono loro i veri protagonisti del gruppo scultoreo.
Ma la storia dei Quattro Mori non finisce certo qui, purtroppo nel corso degli anni il complesso ha subito varie peripezie. Nel 1799 ad esempio, durante la breve occupazione di Livorno ad opera delle truppe Napoleoniche, il monumento corse un grave pericolo: il generale Miollis, al comando dei soldati francesi di stanza a Livorno, lo additò infatti come un insulto all’umanità e ne propose la sostituzione con una statua della libertà che soggioga i quattro vizi. Per alcuni mesi, fino al 23 luglio 1799, venne tolto dal suo piedistallo dove fu nuovamente ricollocato dopo la fuga dei Francesi i quali tuttavia fecero in tempo a depredarlo degli ornamenti barbareschi in bronzo che oggi si trovano al museo del Louvre di Parigi.
Nel 1888, in seguito ai lavori di ampliamento della darsena, i Quattro Mori vennero arretrati di circa venti metri verso terra fino alla posizione attuale e, con l’occasione, ne fu ampliata la base ed allargato il perimetro dei cancelli. Ma la pace durò pochi decenni, fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale quando, per salvarli dai bombardamenti, fu deciso di trasferire la statua di Ferdinando I nella Certosa di Calci e i mori dapprima al Cisternino di Pian di Rota e poi nella Villa medicea di Poggio a Caiano.
Finalmente, nel giugno 1950, dopo accurati restauri, il complesso scultore venne ricomposto, i Quattro Mori e la statua di Ferdinando I tornarono così a Livorno e ricollocati nella loro sede attuale, davanti alla vecchia darsena, come simbolo di una città che all’epoca era ancora devastata dal conflitto bellico.
Concludiamo con un’ultima credenza popolare legata ai Quattro Mori. Capita spesso di vedere i turisti aggirarsi ai vari angoli della piazza Micheli e scrutare il complesso alla ricerca di un punto di vista particolare: quello dal quale sono visibili contemporaneamente tutti e quattro i nasi dei Mori. Ebbene, questo punto esiste davvero. Quando passate da Livorno vi invitiamo a verificarlo di persona.