Una mamma speciale
Museo della Città
di Chiara Allegri
Per resilienza si intende la capacità di resistere, superare e prosperare dopo una profonda avversità. Una definizione al giorno d’oggi forse fin troppo abusata da molti, ma che si addice perfettamente alla figura di Chiara Allegri, infermiera livornese classe 1979, affetta dalla sindrome di Rokitansky, una malattia rara – diagnosticata a quattordici anni – che non le permetterà mai di avere figli. Una diagnosi dura, durissima. Ma Chiara non si arrende e decide, insieme al marito Roberto, di intraprende un lungo percorso adottivo che la porterà a conoscere Alexandra, una bambina ormai parte della sua famiglia.
Cresce, in seguito, la volontà di mettere nero su bianco la sua esperienza, di fare qualcosa anche per gli altri, aiutare qualsiasi ragazza, donna o coppia accomunata dalla stessa situazione, nonché attirare l’attenzione su una patologia ancora troppo poco conosciuta in ambito sanitario. Nasce così “Una mamma speciale” (Intrecci Edizioni), un’opera “alla quale sono stata dietro tre anni” racconta Chiara, “anche a causa di una pandemia che imponeva ritmi lavorativi molto elevati. Ma sono contenta di essere riuscita a portarla a termine. Si tratta di un lavoro autobiografico, nel quale mi metto a nudo e racconto me stessa, il che, lo devo ammettere, non è stato facile”.
“Sono tre i punti cardine del libro” spiega ancora “la morte di mia madre, la diagnosi della sindrome di Rokitansky e il successivo percorso adottivo. Se il primo può, in un certo senso, rappresentare un elemento che accomuna più persone, gli altri due sono i veri motivi per i quali ho sentito il bisogno di buttarmi con tutta me stessa sulla scrittura. Negli anni mi sono accorta che purtroppo regna ancora molta ignoranza, anche in campo medico-sanitario, riguardo ad una sindrome debilitante come quella di Rokitansky, considerata rara ma che, numeri alla mano, solo a Livorno affligge tre persone. A proposito del cammino adottivo, devo ammettere che non è stato semplice. Io e mio marito abbiamo impiegato sette anni per venirne a capo e non nascondo che ci siamo sentiti un po’ abbandonati dalle istituzioni”.
Due, quindi, gli obiettivi principali dell’opera: “Ho scritto questo libro sia per far conoscere maggiormente questa patologia, sia per sottolineare l’importanza, e allo stesso tempo, la difficoltà del percorso adottivo, durante il quale nessuno deve sentirsi solo. Se arrivo ad aiutare anche solo una ragazza o una coppia attraverso il mio libro, per me è come una vittoria. Ringrazio in primis mio marito che mi ha sempre appoggiato e senza il quale non sarei riuscita a raggiungere tanti traguardi. Ma ringrazio anche mio padre e le mie sorelle per il supporto continuo, senza dimenticare la casa editrice, con la quale mi sono trovata benissimo”.
Riguardo al futuro, infine, Chiara lascia trapelare qualche indizio: “Sì, è vero, ho già varie idee in mente e sto iniziando a buttar giù qualcosa. Sicuramente sarà sempre un lavoro rivolto agli altri, in grado di mandare messaggi importanti per tutti coloro che hanno bisogno di un aiuto e non sanno a chi rivolgersi”.